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STORIA
T. davanti al mare

La prima volta dopo il naufragio che T. ha visto il mare da vicino ha avuto un sussulto. È rimasto incantato dalla bellezza della natura anche se, per lui, quella massa d’acqua vuol dire tante cose. È salito sul gommone una notte pur non sapendo nuotare, perché suo padre glielo ha sempre impedito per paura della corrente. Il mare quella stessa notte ha ingoiato molte persone ma a lui ha risparmiato la vita, lo ha portato via dall’instabile situazione del suo Paese e lo ha salvato dalle violenze in Libia.

T. ha 17 anni, viene dal Gambia. Ha gli occhi scuri e un sorriso sempre aperto sulle labbra. È arrivato in Italia, a Palermo, l’anno scorso dopo un viaggio durato 12 mesi che l’ha portato fino in nord Africa, poi lungo la rotta del Mediterraneo. T. è nostalgico quando parla della famiglia, chiama il centro che lo ospita “casa” ma sogna di tornare nella sua di casa, quella vera, in Gambia, perché sente molto la mancanza di sua madre e dell’unica sorella. È un ragazzo forte e con un grande spirito di iniziativa. Frequenta attivamente tante organizzazioni del posto, ha molti amici e un’energia inesauribile. Quegli occhi scuri si velano solo quando ascolta altri ragazzi raccontare del viaggio, delle torture, della violenza. Ma non si rassegna davanti a questi racconti “ehy boy, now we are here” (ndr “su ragazzo, ora siamo qui”), invita tutti a guardare l’esperienza passata da un’altra prospettiva e ci tiene a sottolineare che “non serve a nulla essere negativi, non aiuta. Se invece facciamo lo sforzo di essere positivi le cose cambiano e abbiamo più energia per farle funzionare”. Non tutti hanno la forza di T., molti nemmeno riescono ad avvicinarsi più al mare, la lentezza burocratica poi di certo non li aiuta a guardare avanti in modo più sereno. Lui lascia spazio ai pensieri positivi, ai progetti, ai sogni. Tra questi, quello di trovare lavoro a Palermo, di esprimere la sua riconoscenza per la città che l’ha ospitato contribuendo a renderla migliore. Il diciassettenne gambiano è tra i ragazzi pieni di talento che sbarcano sulle nostre coste. Parla correntemente tre lingue (inglese, mandinka e italiano), ha appena preso la licenza media nel nostro Paese, gestisce una piccola radio, così come faceva in quella sua striscia di terra abbracciata dal Senegal e … sogna di imparare a nuotare.

T. è uno dei ragazzi che abbiamo conosciuto attraverso il programma “One Unicef Response”, volto a migliorare il sistema di prima accoglienza in Italia, uno dei tasselli di un mosaico volto a parlare non più di minori stranieri ma di bambini e adolescenti.

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